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L’abuso di antibiotici causa la diffusione di microrganismi resistenti alla loro azione, con una conseguente perdita di efficacia delle terapie e gravi rischi per la salute pubblica. Consumare carne, pesce, latte e uova aumenta il rischio. Ecco il perché.
L’uso mbadiccio di antibiotici negli allevamenti intensivi favorisce l’antibiotico-resistenza, minaccia mondiale che colpisce uomini e animali. Può riguardare tutti i tipi di farmaci antimicrobici: antibatterici (detti anche antibiotici), antifungini, antivirali, antiparbaditari.
Facciamo chiarezza sul fenomeno: di cosa si tratta?
L’antibiotico resistenza (AMR) è il fenomeno per il quale batteri, virus e altri organismi che possono infettarci, sviluppano una resistenza agli stessi farmaci che usiamo per combatterli. I batteri sviluppano questa abilità per sopravvivere in presenza di antimicrobici come ad esempio gli antibiotici. La resistenza può insorgere sia nell’uomo che negli animali e si verifica quando un microbo è esposto ripetutamente nel tempo ad un agente antimicrobico che non lo uccide.
Se da un lato gli antimicrobici sono stati enormemente utili sin dalla loro invenzione 70 anni fa, l’uso inappropriato che ne è stato fatto ha portato all’antibiotico resistenza che ora rappresenta delle più gravi minacce a livello mondiale. L’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) stima che ogni anno in tutta l’Unione Europea muoiano circa 25.000 persone per conseguenza diretta della resistenza agli antimicrobici. Un esempio recente di batterio resistente negli animali da produzione alimentare è il cosiddetto MRSA, cioè lo Staphylococcus aureus meticillino-resistente, che, da sempre patogeno per l’uomo provoca un’infezione ospedaliera; da qualche anno però ha iniziato a sviluppare la capacità di resistere a più antibiotici e, secondo fonti EFSA, si è iniziato a rilevarne la presenza anche in animai definiti “da reddito”, in particolare nei maiali.
Tutti gli animali sono portatori di batteri nei loro intestini. Tali batteri sono benefici per la salute degli animali. Gli animali negli allevamenti intensivi, vengono spesso curati e trattati con antibiotici a causa delle condizioni spesso precarie in cui sono costretti a vivere e ciò crea nel loro intestino un ambiente che favorisce la sopravvivenza e la moltiplicazione dei batteri resistenti. I batteri resistenti possono poi sia contaminare gli alimenti derivati da quegli animali (carne, pesce latte e uova) sia diffondersi alle colture che vengono irrigate con acque contaminate o fertilizzate con concime animale.
Uno studio italiano recentemente pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Antimicrobial Agents ha confermato in via definitiva che il fenomeno dell’antibiotico resistenza è strettamente legato al consumo di carne, pesce, uova e e latticini.
La ricerca, il cui titolo è “Assessing antimicrobial resistance gene load in vegan, vegetarian and omnivore human gut microbiota” (Valutazione del carico genico di resistenza antimicrobica in microbiota intestinale umano vegano, vegetariano e onnivoro), ha esaminato i microrganismi presenti nell’intestino umano (il microbiota) per verificare tutte le possibili differenze sulla base dell’alimentazione seguita.
In rapporto al fenomeno dell’antibiotico resistenza, c’è differenza tra alimentazione vegana, latto-ovo-vegetariana e onnivora? La rispostà è sì.
Nell’intestino di chi segue una dieta vegana, la presenza dei geni di antibiotico resistenza è inferiore in maniera significativa rispetto a chi segue una dieta onnivora o latto-ovo-vegetariana. Non vi sono invece differenze tra onnivori e latto-ovo-vegetariani. I geni oggetto della ricerca, sono quelli che conferiscono resistenza a 4 clbadi di antibiotici: sulfamidici, tetracicline, amminoglicosidi e beta-lattamici.
Lo studio è stato effettuato su 101 persone divise in tre gruppi: 26 vegani, 32 latto-ovo-vegetariani e 43 onnivori. Nessuno di loro è stato sottoposto a cure antibiotiche nei 12 mesi precedenti allo studio. Sono stati raccolti i metadati relativi al consumo alimentare e ai parametri antropometrici.
Lo scopo era appurare se diete diverse fossero caratterizzate da un carico di geni di antibiotico resistenza diverso nell’intestino delle persone ed è proprio così: i risultati hanno mostrato un carico totale inferiore di ARG (antimicrobial resistance gene) nella dieta vegana. I dati supportano il ruolo delle diete onnivore e vegetariane nell’accumulo di ARG, suggerendo un ruolo per il consumo di cibo derivato da animali.
Questo studio dimostra un ulteriore altro impatto negativo delle proteine animali: se non bastano le motivazioni etiche suggerite dal movimento vegano ormai in continua escalation a livello globale, le conseguenze ambientali legate alla produzione di carne e derivati, le evidenze scientifiche riconosciute dall’OMS sulla relazione tra alterazione della salute e consumo di proteine animali, ecco un ulteriore motivo: la minaccia concreta in termini di salute pubblica. Il problema non si può più rimandare. La soluzione in grado di fornire una risposta concreta alle problematiche sopra elencate è una: la conversione verso una dieta plant-based. Cessare il consumo di carne è la risposta: non si tratta di una opinione ma di un fatto concreto supportato da evidenze e studi.
Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ed Ema (Agenzia Europea per i medicinali) sono al lavoro da anni sul tema e propongono due vie: da una parte sviluppare nuovi agenti antimicrobici ma allo stesso tempo affrontare il problema dell’uso indiscriminato di questi agenti riducendo l’impiego di antibiotici negli allevamenti: si tratta di soluzioni transitorie che mitigano gli effetti della produzione industriale ma non vanno alla radice del problema.
Efsa ha in programma 2 incontri in Italia sul tema. Si terranno a Novembre nella città di Parma. Non sono aperti al pubblico ma verranno divulgati i focus delle conferenze:
Pubblicato da Redazione
Sotto la sigla “Redazione” vengono inseriti gli articoli originali realizzati internamente dal team dell’ Osservatorio VEGANOK.
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