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Due persone affette da emicrania su tre sono donne e la condizione incide sulla loro vita lavorativa e sociale più pesantemente che su quella degli uomini. Ma a causa del reddito medio inferiore rispetto ai maschi, spendono meno in diagnosi e cura (1.132 euro l’anno contro 1.824). È il quadro che emerge dallo studio Gema (Gender&Migraine) del CERGAS Bocconi
31 OTT – L’emicrania è una patologia molto diffusa e invalidante che colpisce il 12% degli adulti in tutto il mondo, con una prevalenza tre volte maggiore nelle donne, destando un grande interesse nell’ambito della Medicina di Genere. Ha un impatto sia sulla qualità della vita che sui costi sostenuti dalla società e pertanto rappresenta un importante problema di salute pubblica. La valutazione dello stato di salute generale di questi pazienti, dell’impatto della patologia sul loro stile di vita dal punto di vista economico e sociale potrebbe fornire informazioni molto importanti sulle eventuali azioni da intraprendere da parte del SSN.
Lo studio Gema (Gender&Migraine) del Centro di ricerche sulla gestione dell’badistenza sanitaria e sociale (Cergas), presentato oggi, pone particolare attenzione alle differenze di genere, indagando i costi diretti sanitari, non sanitari e le perdite di produttività badociate all’emicrania attraverso un’indagine multidimensionale diretta effettuata su un campione di 607 pazienti adulti con almeno 4 giorni di emicrania al mese. La rilevazione è stata effettuata nel mese di giugno 2018.
Due persone affette da emicrania su tre sono donne e la condizione incide sulla loro vita lavorativa e sociale più pesantemente che su quella degli uomini. Inoltre, a causa del reddito medio inferiore rispetto ai maschi, spendono meno in diagnosi e cura (1.132 euro l’anno contro 1.824).
Le donne italiane a soffrire di emicrania sono quattro milioni (rispetto ai due milioni di uomini), perdono più giorni di lavoro (16,8 l’anno contro i13,6 dei maschi) e giornate di vita sociale (26,4 contro 20) e sono maggiormente soggette al fenomeno del presentismo, ovvero a giornate in cui si presentano al lavoro in condizioni di malessere (51,6 giorni contro 35,6).
Paola Porciello
31 ottobre 2018
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