Perché l’«alleato» Kurz è diventato il fustigatore dell’Italia



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Nel giorno del processo europeo a una manovra «senza precedenti», inedito è stato anche il volto dell’accusatore politico più sferzante. Nel corso del Consiglio Ue di giovedì 18 ottobre, l’Italia abituata alle indigeste lezioni di Germania e Francia s’è vista richiamare all’ordine con maggior veemenza dal cancelliere austriaco – e sodale populista – Sebastian Kurz. Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel si limitava a invitare il governo italiano a intavolare «un dialogo con la Commissione europea» sul budget e il presidente francese Emmanuel Macron, pur chiedendo «il rispetto delle regole», si guardava bene dal dare «lezioni dopo 10 anni pbadati in procedura per deficit eccessivo», è stato il giovane leader di Vienna a vestire i panni del poliziotto cattivo. Lo richiedeva la veste di presidente di turno della Unione europea, certo. Ma le stoccate di Kurz sono parte integrante un preciso disegno politico, con cui il cancelliere austriaco punta a prendere le distanze dall’ala più oltranzista del populismo europeo.

PALADINO DELLA UE E GUARDIANO DEGLI INTERESSI NAZIONALI

«I debiti eccessivi» sono «pericolosi», non solo «per i Paesi che li hanno accumulati», ma «anche per l’Europa», ha detto Kurz. «Ritengo negativo che siano state fatte eccezioni per i Paesi più grandi». Chiaro riferimento a Roma, reso esplicito a stretto giro: «Non abbiamo nessuna comprensione» per le politiche finanziarie «dell’Italia, ci aspettiamo che il governo rispetti le regole». Poi ha continuato: «Come Ue, non siamo disposti ad accettare il rischio di caricarci questo debito per l’Italia, l’Ue è un’economia e una comunità di valori, funziona perché ci sono regole comuni a cui tutti devono aderire». Se questo non succede, «l’Italia si mette in pericolo, ma ovviamente mette a rischio anche gli altri». «Non siamo i soli a pensarlo, anche molti altri Paesi» appoggiano la Commissione nel chiedere «il rispetto delle regole» comunitarie, i criteri di Maastricht – di cui il 32enne cancelliere si è erto a «grande difensore» – valgono per tutti. «In Austria», ha chiarito, «non pagheremo di sicuro per il debito di altri». Più che un avviso, una minaccia. Che lascia intravedere i due volti del Kurz fustigatore dell’Italia: da una parte, paladino dell’Unione e dei suoi paletti; dall’altra, guardiano degli interessi nazionali.

NON TUTTI I POPULISMI SONO UGUALI

L’obiettivo di Kurz è porsi a metà del guado tra il nucleo maggiormente europeista della Ue e la sua periferia più critica, quel gruppo di Visegrad formato da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia e rincorso dalla Lega di Matteo Salvini. Il cancelliere austriaco viaggia su un doppio bianrio: cerca di accreditarsi alla corte di Macron, primo leader europeo a cui fece visita dopo l’elezione del 2017 parlando di un’agenda «praticamente identica» alla sua su diversi punti, a partire dal «programma filoeuropeo», ma cavalca anche le pulsioni xenofobe che corrono da Budapest a Vienna, invocando un rafforzamento delle frontiere. In entrambi i casi, rema contro il governo giallo-verde. Perché, dal punto di vista dell’enfant prodige austriaco, non tutti i populismi sono uguali. E lui, che ha scalato le posizioni del governo con un’agenda di estrema destra condita da una buona dose di critica all’Ue, non perde occasione per sottolinearlo.

LA LEZIONE AUSTRIACA SUL BUDGET

Illuminanti, in questo senso, sono le dichiarazioni rese da Kurz prima del Consiglio Ue del 18 ottobre. Nel richiamare Roma all’ordine, il cancelliere austriaco ha indicato la politica economica di Vienna come esempio di «equilibrio», forte di una bozza di bilancio che – stando alle dichiarazioni dell’esecutivo – ha un rapporto deficit-Pil pari allo 0%. Altro che il 2,4% italiano. Soprattutto, il presidente di turno della Unione europea ha puntato il dito – sottolineandone le conseguenze potenzialmente dirompenti – contro «le promesse elettorali e populiste degli altri». Termine qui utilizzato con chiara accezione negativa da parte di un leader che, nella sua pur giovane carriera politica, l’etichetta di «populista» se l’è guadagnata sul campo. Ma che, a tempi alterni, si prodiga nel tentativo di grattarla via.

AFD VUOLE SALVINI CANDIDATO ALLA COMMISSIONE UE

Questo apparente cortocircuito, per ora, non intacca il consenso di cui Kurz gode entro i confini nazionali. Anzi. A maggio del 2018, secondo un sondaggio del GfK Institut, il 55% degli austriaci si è dichiarato soddisfatto per il lavoro del governo, a fronte del 31% di un anno fa. Le incognite, piuttosto, sorgono a livello di equilibri e di alleanze europee, in vista delle elezioni del prossimo maggio. Da tempo, Salvini lavora al progetto di una “Internazionale populista” in cui riunire le forze più critiche nei confronti di Bruxelles, ora sparse tra Ppe (Fidesz di Orban, Ovp di Kurz), Enf (Lega, Rbademblement National) ed Efdd (M5s). E in questo eterogeneo schieramento non manca chi, come i tedeschi di Alternative fur Deutschland, vorrebbe proprio il segretario della Lega candidato alla presidenza della Commissione. Salvini, da parte sua, ha citato nelle scorse settimane Kurz come uno dei leader europei che vorrebbe rientrbadero nella nuova creatura al parlamento Ue. Ma le frizioni di questi giorni, unite all’incidente diplomatico di settembre, allargano la faglia tra Vienna e Roma. Lasciando intendere, una volta di più, che la grande famiglia populista non è poi così unita.



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