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Paolo Stefanato
Con insolita sincronia, nelle ultime 48 ore sono accadute due cose. Ieri il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha annunciato che all’interno del governo è stata «trovata la quadra» su Alitalia e che «la partnership con Fs è a un punto di partenza». Ha anche aggiunto che «poi gli investitori arriveranno perché abbiamo contatti importantissimi».
Il giorno prima alla Borsa di Dublino le Fs aggiornavano il proprio programma di emissioni obbligazionarie ampliando il plafond fino a 7 miliardi dagli iniziali 4,5, e hanno sottoscritto la documentazione con 26 banche internazionali. Dunque da un lato le Ferrovie vengono sollecitate a un’operazione su Alitalia, dall’altro si approvvigionano di capitali. Se le due cose siano sequenziali non è possibile dirlo, ma la coincidenza è sicuramente molto suggestiva. I bond rappresentano attualmente il 40% delle fonti di finanziamento del gruppo Fs: ma chi li acquista sa di sostenere programmi di sviluppo ferroviario, non aeronautici; le notizie di un prossimo salvataggio di Alitalia da parte di Fs non possono che preoccupare le società di rating e confondere il mercato.
Per quanto robuste, le Ferrovie 11,5 miliardi di debito – potrebbero far fatica a digerire un impegno così gravoso: come nota il deputato Pd Michele Anzaldi, l’utile delle Fs in ciascuno degli ultimi esercizi corrisponde su per giù alla perdita di Alitalia, circa 500 milioni. L’integrazione annienterebbe la profittabilità della rotaia. Se poi, come si ipotizza, le Fs dovessero anche farsi carico di 1.000 esuberi. Ieri Di Maio, nel rendere noto che «ci sono tantissimi interessati ad Alitalia, tanti soggetti privati» nell’ottica «di una nuova idea di trasporto e di turismo», ha ringraziato l’ad delle Fs Gianfranco Battisti «perché ha una visione strategica sia dei flussi turistici sia dell’intermodalità che mette insieme aerei, ferro e gomma che ci consentirà di avere un sistema di trasporto integrato».
Battisti è stato nominato dal governo ad delle Ferrovie il 31 luglio, e la perfetta sintonia dunque non stupisce. Ma il piano di «rilancio» di Alitalia non è ancora chiaro. Quanto denaro metteranno le Fs nella newco al servizio dell’integrazione? Stando al”operazione irlandese, avranno (teoricamente) a disposizione altri 2,5 miliardi, ma è del tutto impraticabile usare i bond per acquistare una società che perde 500 milioni all’anno. Se, com’è più probabile, le FS metteranno in questa prima fase un «gettone» finora ipotizzato in 200 milioni, chi verserà il resto del capitale, visto che per rilanciare Alitalia vanno programmati almeno 2 miliardi cash? Gli «importantissimi contatti» di Di Maio porteranno tutto quel denaro? Se i potenziali investitori sono compagnie straniere anche extraeuropee, acquisterebbero una quota senza poter comandare?
Ai sindacati è già stato promesso che non ci saranno licenziamenti, quando Lufthansa e EasyJet, per esempio, hanno sempre anteposto a un investimento la ristrutturazione della compagnia. Oggi sembra avere qualche concretezza il dialogo con l’americana Delta, ma la trattativa si svolge su un piano operativo non vantaggioso per Alitalia. Gli americani vorrebbero modificare l’accordo transatlantico (Delta, Az, Air France, Klm) derubricando il ruolo di Alitalia da membro effettivo ad badociato, quando Alitalia, invece, ha sempre avvertito la necessità di contare di più.
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