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Fabrizio Angelini di comunicazione ne capisce. La studia, la badizza: fondatore e amministratore delegato di SenseMakers (numero uno di Comscore in Italia). Ne carpisce il fluire, usando i dati come stelle per orientarsi: “Ormai l’informazione è completamente frammentata, il web e soprattutto i social hanno devastato il sentire comune che è alla base del dibattito pubblico. Ma non penso che gli italiani non sappiano distinguere le notizie vere da quelle false”.
L’INTERVISTA INTEGRALE
Iniziamo dalla frammentazione della realtà.
È una frammentazione che di fatto ha devastato il dibattito pubblico.
Perché?
Perché la precondizione per discutere di una qualunque cosa è che tutti abbiano le stesse informazioni, o che abbiano nella propria agenda gli stessi temi. Ma se nessuno si siede più a guardare lo stesso tg, o a leggere gli stessi giornali, come si fa a parlare di un argomento condiviso? La verità è che quello che era il sentire comune è stato devastato dal web e ancor di più dai social. E da questo ne esce che è stato devastato il dibattito pubblico.
Forse perché i media sono meno credibili?
È vero che la credibilità dei media sta calando, perché conta di più quello che ha detto l’amico sui social piuttosto che il giornale. Però attenzione: le persone sanno perfettamente che sui social girano molte fake news. E sanno che i giornali e i media sono più affidabili. Però sempre di più le decisioni che vengono confermate e formate in ambiente social. Pensiamo ai dibattiti…
La morte dei talk show.
Esatto. Non ci sono più i dibattiti, perché è finita la condivisione e c’è sempre una più accentuata polarizzazione degli orientamenti. Si tratta di profezie autoavveranti, dei meccanismi sociali delle sette: è sempre più complicato infiltrare e far ragionare le persone su temi che non siano stati filtrati dalle loro cerchie di amici sui social.
Questo porta al tema della segmentazione.
Meglio: della profilazione estrema. Il modello di business di internet è sempre più legato alla capacità di gestione dei dati, più che alla fornitura di notizie. Ai grandi marchi oggi interessa di più comunicare ai singoli che sono iperprofilati da Facebook o Google piuttosto che con i lettori degli editori di qualità . Una comunicazione mirata costa anche meno. Così il problema si aggrava: i modelli di business e la capacità di profilazione che è in mano ai social portano ad avere sempre meno risorse economiche da parte dei giornali.
E così nascono le bufale.
La notizia più condivisa ai tempi del referendum costituzionale era una bufala sul fatto che le schede elettorali erano prestampate. Tra le 10 notizie più viralizzate, 5 erano false.
La notizia, quella vera, quanto conta per gli accessi?
Mettiamola così: in genere solo un lettore su tre arriva sul sito direttamente, il 70 per cento è mediato. Di questo 70%, il 30% arriva dalla search, il resto dai social e altre fonti. Oggi un italiano su tre naviga solo da mobile. E su mobile, per navigare, si usano prevalentemente le app. Le più usate sono Facebook e Google. I lettori fidelizzati che apre la app del giornale sono circa il 2-3 per cento. Quindi, il grosso del traffico è randomico, è difficile che la notizia sia l’elemento trainante. A meno che i lettori non siano fidelizzati o che ci si rivolga a micronicchie. In quel caso cambia tutto.
Rispetto al 1989 oggi c’è più democrazia perché c’è più facilità di accesso alle fonti?
C’è meno democrazia. Più fonti e meno democrazia. È scientificamente dimostrato che mentre nei sistemi novecenteschi la diffusione dell’informazione era garanzia di liberismo, controllo dei poteri dello stato, quinto potere, oggi non è più così. Oggi l’informazione importa meno: importano i big data, e questi sono concentrati nelle mani di pochissimi soggetti.
La “devastazione” vale anche per la politica locale?
In certa misura sì, vale anche per la politica locale. E in futuro lo sarà ancor di più perché molte delle informazioni viaggiano sui gruppi più ristretti in Whatsapp. Il che è anche peggio, perché queste sono nicchie chiuse. E più opache: le fake news non possono essere mai intercettate su Whatsapp, non possono essere “denunciate” nè smascherate, come avviene invece su Facebook. Questo è un problema enorme per la politica ma anche per la concorrenza sleale: pensiamo per esempio al diffondersi su questi cbadi di una voce su un ristorante che fornisce cibo avariato. Come ci si potrebbe mai difendere dalla calunnia?
Torniamo alla politica. Che cosa dovrebbe fare un partito politico che voglia eguagliare la forza di Movimento 5 Stelle e Lega sui social?
Ci sono le condizioni per montare la macchina del consenso nel giro di pochi mesi e non di anni. Ma non in un’ottica top-down. Bisogna arrivare ad avere cellule di attivazione, o tematiche particolari o territoriali che funzionino e diffondano la comunicazione. Non penso che un’operazione costruita a tavolino possa funzionare. Può funzionare solo qualcosa che parta dal bbado e che venga poi sistematizzata.
L’italiano è un credulone in fatto di fake news?
Non credo. L’italiano non è né ignorante né ingenuo. È poco preoccupato dalle fake news perché è in grado di riconoscere un falso. L’italiano non si beve tutto ma il problema è un altro: ha scarsa propensione e umiltà nell’informarsi.
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