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La perdita più importante è l’addio del ministro della Brexit Dominic Raab, che era il caponegoziatore del Regno Unito nelle trattative con l’Unione Europea. Un addio clamoroso, perché Raab non era dato negli ultimi giorni come tra i più ribelli dell’esecutivo. Invece no, ha mollato con una lettera formale ma pesantissima su Twitter: “Non posso sostenere l’accordo con l’Ue”, ha scritto lui stesso che ha negoziato quell’accordo, “la soluzione proposta per l’Irlanda del Nord rappresenta una minaccia reale all’integrità del Regno Unito”. A seguire Raab poco dopo anche la sottosegretaria alla Brexit Suella Braverman.
Non solo. Stamattina hanno lasciato anche uno dei ministri per l’Irlanda del Nord, Shailesh Vara, e quella del Lavoro Ester McVey. Vara, come Raab, non accetta il compromesso sull’Irlanda del Nord, che prevede una sorta di mercato unico con l’Ue a tempo potenzialmente indeterminato, cosa che, secondo lui la slegherebbe dalla Gran Bretagna (cioè il resto del Regno Unito): “Siamo una nazione orgogliosa e ci siamo ridotti ad obbedire alle regole fatte da altri Paesi che hanno dimostrato di non avere a cuore i nostri migliori interessi. Possiamo e dobbiamo fare meglio di questo. Il popolo del Regno Unito merita di meglio”.
La ministra del Lavoro McVey invece è sempre stata tra i più critici e oggi lo ha confermato sbattendo duramente la porta: “L’accordo di May non rispetta il risultato del referendum del 2016, siamo pbadati da una situazione per cui nessun accordo era meglio di un cattivo accordo a un’altra per cui un cattivo accordo è meglio di nessun accordo con l’Ue. Io non ci sto”.
Chi ha partecipato al Consiglio dei Ministri di ieri parla di scene drammatiche, di almeno due ministri in lacrime (tra cui McVey, pare) e, come scritto da Repubblica, a un certo punto i ribelli euroscettici avrebbero raccolto le firme per sfiiduciare May come leader del partito. Poi hanno rinunciato, ma oramai è chiaro che hanno voluto soltanto aspettare a oggi e lanciare la loro offensiva a May. Non è detto però che oggi stesso arrivi una mozione di sfiducia, anche se ci sarebbero almeno 50 firme dei deputati tories, abbastanza per sostenerla.
Dopo la piccola vittoria di ieri e l’ok del consiglio dei ministri al suo accordo, il futuro di Theresa May e dell’accordo sulla Brexit a questo punto torna nell’incertezza più badoluta. Le tre dimissioni di oggi portano a 21 il computo delle uscite di ministri dal governo May negli anni. La premier sinora è sempre riuscita ad andare avanti e a cambiare le pedine, ma stavolta ce la farà? Soprattutto ce la farà adesso, a questo punto, quando oramai la tagliola del 29 marzo 2019, e quindi lo spauracchio del “no deal”, si avvicina sempre di più? L’azzardo di May potrebbe diventare a breve l’incubo di un intero Paese.
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Se vi interessa continuare ad ascoltare un’altra campana, magari imperfetta e certi giorni irritante, continuate a farlo con convinzione.
Mario Calabresi
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