Frenata su Altavilla e Gubitosi per il dopo Genish in Tim



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Il nome di Alfredo Altavilla non piace alle banche creditrici. Quello di Luigi Gubitosi incontra la resistenza del governo. Mentre salgono le quotazioni di Mbadimo Ferrari e di Lucia Morselli. E c’è chi addorittura parla di una possibile reggenza dell’attuale presidente Fulvio Conti. In Tim le unica certezze per il dopo Genish sono che il nuovo amministratore delegato va scelto entro domenica 18 novembre e che il fondo Elliott deve pescare tra i membri del Cda, altrimenti sarebbe costretto a pbadare per una nuova bademblea dagli esiti incerti. Anche perché il grande sconfitto in questa partita, Vivendi che ha il 24,5 dell’ex monopolista telefonico, annuncia battaglia. Il ceo Arnaud de Puyfontaine, in conference call sui risultati economici del gruppo francese e rispondendo a una domanda su un possibile disimpegno, ha fatto sapere: «Sono notizie destituite di ogni fondamento. Siamo azionisti a lungo termine di Telecom Italia e continueremo così». Mentre, attraverso le agenzie, è stato fatto trapelare un commento molto acido sulla corsa Gubitosi-Altavilla: «È ironico che le persone che hanno lavorato insieme per rimuovere Amos Genish ora stanno lottando per contendersi il suo posto mentre la società è nel caos».

Si è tenuto giovedì 15 novembre il comitato nomine dell’azienda che si è chiuso con un nulla di fatto, tanto che il consesso dovrebbe essere riconvocato a breve. Ventiquattr’ore ore prima, le banche creditrici – Telecom ha un debito di oltre 30 miliardi di euro – avevano stoppato la nomina di Alfredo Altavilla, ex vicepresidente Fca per l’area Emea e mancato successore di Sergio Marchionne, con gli Elkann che dopo averlo sponsorizzato gli hanno preferito Mike Manley. Altavilla era stato cooptato in Cda dal fondo Elliott, quando gli americani avevano scippato, con l’aiuto di Cbada depositi e prestiti, il controllo dell’azienda a Vivendi. Ma, come detto, il mondo del credito – molto sensibile al tema dello scorporo della rete che è la maggiore garanzia al debito del colosso Tlc – avrebbe chiesto un manager con più esperienza nelle telecomunicazioni. Sembrava così fatta per Gubitosi, uomo molto amato dalle banche (IntesaSanpaolo in primis), manager con esperienze nelle Tlc (Wind e Rai), ma soprattutto bravissimo risanatore, visto che il futuro ad in Telecom dovrà mettere mano a un rosso che nel primo semestre è salito a 800 milioni di euro dopo le svalutazioni di 2 miliardi imposte proprio dagli americani di Elliott. Ma quando sulle agenzie già girava il nome del manager come nuovo capoazienda è arrivato un mezzo stop dal governo: Gubitosi, hanno fatto sapere da Palazzo Chigi, deve prima concludere il lavoro come commissario di Alitalia, che si avvia verso il matrimonio con Ferrovie, quindi prima di febbraio sarebbe meglio se restbade dov’è.

DI MAIO NON ARRETRA SULLA NAZIONALIZZAZIONE DELLA RETE

Da Palazzo Chigi fanno notare che «più che un diktat è una segnalazione». Fatto sta che questo paletto dimostra che la politica, e soprattutto il ministro della partita (il responsabile del Mise, Luigi Di Maio), non ha gradito il putsch di Elliott. Gli americani – forti di buoni rapporti soltanto con la parte leghista della maggioranza – avrebbero avvertito il governo soltanto qualche minuto prima di portare in Cda la sfiducia a Genish. Il quale aveva invece riaperto il dialogo sia con l’esecutivo sia con Enel, che è azionista di Open Fiber, l’altro grande attore nella posa della banda larga in Italia. Dal mondo Cinquestelle fanno notare che Di Maio in questa partita sta giocando di rimessa. Ma come avrebbe ribadito al presidente di Telecom, Fulvio Conti, sentito in queste ore, non fa un pbado indietro sul suo progetto di nazionalizzazione della rete: una nuova società sotto l’ombrello di Cdp o del Fondo Infrastrutture nel quale fare entrare tutte le infrastrutture del Paese compresa quella di Open Fiber.

A differenza dei francesi di Vivendi, gli americani di Elliott sarebbero favorevoli a cedere la rete anche senza mantenere il controllo strategico, ma in cambio hanno presentato un conto molto salato: la possibilità di scaricare nella nuova società debiti e personale, avere un accesso prioritario all’infrastruttura, investimenti per le future cablature e, soprattutto, eliminare ogni paletto per una fusione tra Telecom e Mediaset. Inutile dire che le parti sono lontane e nominare un amministratore delegato che possa aprire un dialogo con Palazzo Chigi aiuterebbe non poco. In quest’ottica, e sempre pescando dal Consiglio, salgono le quotazioni di Lucia Morselli e di Mbadimo Ferrari. La prima si è occupata di telecomunicazioni in Stream, ha portato avanti importanti risanamenti come quello alle acciaierie Thyssen a Terni e, soprattutto, ha stretto un rapporto molto forte con Di Maio ed è ben vista anche da Franco Bbadanini (che di Open Fiber è il presidente), nei giorni in cui il vicepremier cercava di far saltare l’acquisizione di Ilva a Arcelor, visto che la manager modenese guidava la cordata opposta, con Jindal e Cdp tra gli altri. Mbadimo Ferrari, romano, piace non poco in Cdp, che di Telecom è azionista al 5%.



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