Il giallo del tesserino di Di Maio



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Dove ha preso il tesserino di pubblicista Luigi Di Maio? Nel momento in cui i rapporti tra il vicepremier e la categoria dei giornalisti sono al mbadimo della tensione, la domanda irrompe vigorosamente. Alcuni esponenti del Pd, come Ettore Rosato e Emanuele Fiano, hanno già puntato il dito contro il grillino e alcuni direttori e collaboratori di quelli che sembravano essere le testate giornalistiche grazie alle quali Di Maio avrebbe preso il tesserino smentiscono.

Come Gabriella Bellini, direttrice responsabile della testata web campana laprovinciaonline.info, con la quale il leader pentastellato ha collaborato fino all’elezione in Parlamento nel 2013. “Il Luigi che conosco io non avrebbe mai pronunciato quelle parole. Lui conosce i sacrifici che fanno i giornalisti delle testate locali, per questo le sue frasi mi hanno stupita. Sono parole che mi feriscono, ci sono rimasta male. Oggi che è ministro del Lavoro dovrebbe sapere che cosa significa la libertà di stampa in un territorio difficile come il nostro”, afferma la Bellini. Che poi precisa: “Di Maio ha lavorato in qualità di webmaster. Non è con noi che ha preso il tesserino di pubblicista. Qui è arrivato come tecnico, eravamo agli albori del giornalismo online”. Ricercando negli archivi della testata campana spuntano quattro articoli redatti dal giovane Di Maio. Uno riguarda il modello di accoglienza dei rifugiati libici a Pomigliano d’Arco, un altro è intitolato “San Felice sulle spalle dei rifugiati”, un altro ancora racconta di un documentario sull’Alfa Romeo e l’ultimo di un attacco hacker al sito web del comune di Pomigliano.

Tra le papabili testate erogatrici di tesserino c’era anche Paese Futuro, un quotidiano stampato e diffuso gratuitamente a Pomigliano d’Arco che aveva anche un sito internet. Di quest’ultimo ora non c’è più traccia, neanche ricercando negli archivi del web. L’allora direttore della pubblicazione, Francesco Di Rienzo, ha dichiarato a Giornalettismo: “Avevamo diversi collaboratori in quegli anni, ma Luigi Di Maio non era tra questi, non faceva parte della nostra redazione”. Anche Anna Paola Bove, al giornale dal 2004 al 2013, ha smentito: “A meno che non abbia una vera e propria amnesia, io non ricordo Di Maio qui. Non ha preso il tesserino con noi, né ha mai scritto un articolo”.

Ma chi ha dato a Di Maio la possibilità il 4 ottobre 2007 di iscriversi all’ordine dei giornalisti della Campania come pubblicista? Ricordiamo che i requisiti per diventarlo sono l’aver scritto almeno 70 articoli remunerati per un periodo di tempo continuato di almeno due anni con una o più testate giornalistiche registrate regolarmente al tribunale.

Ma quali sono queste testate?

Nel suo curriculum contenuto nel portale Rousseau Di Maio scrive: “Nel settembre 2012 debuttò al cinema il documentario “Commercio”, che avevo girato insieme ad un caro amico per denunciare la drammatica situazione dei piccoli commercianti nella mia città: decine di attività fallite e costrette alla chiusura. In quegli anni oltre a fare il videomaker ho scritto anche di fatti di cronaca locale, come pubblicista”. Accanto alla candidatura viene riportato il blog http://pomigliano.org/ ora diventato un sito cinese. In quel blog è stato pubblicato il documentario sopra citato, ma un blog in quanto tale è difficile che sia anche una testata giornalistica registrata.

Se la data di iscrizione all’ordine è del 2007 significa che Di Maio ha iniziato a scrivere di cronaca locale almeno nel 2005, cioè all’età di 19 anni. Era il periodo dell’università quando lui fondò e diresse il sito www.studigiurisprudenza.it che altro non era che un bollettino di informazione universitari (tra l’altro non combaciano i tempi tra iscrizione e articoli visto che il magazine risulta nato nel novembre 2006) nel quale tra le altre cose si mostrava un liberale d’altri tempi vergando articoli in cui criticava le nazionalizzazioni, voleva vendere Alitalia ai francesi, stigmatizzava il posto fisso e si vantava di essere riuscito a ottenere dei finanziamenti pubblici per la rivista tramite l’università Federico II di Napoli.

Insomma, la testata che ha remunerato gli articoli di Di Maio si faccia avanti oppure sia lo stesso grillino a spiegare in nome della decantata trasparenza il percorso che lo ha portato a diventare pubblicista. Magari prima che il M5S abolisca l’ordine. Visto che è sempre stato un caposaldo pentastellato.

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