“Il giudice deve decidere sull’indennizzo per licenziamento illegittimo” – Repubblica.it



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MILANO – Sui licenziamenti illegittimi si torna esattamente all’era pre Jobs Act. È quanto prevede la sentenza depositata oggi della Corte Costituzionale, che a settembre ha bocciato una delle norme cardine della Riforma del Lavoro varata dal governo Renzi. La misura, confermata anche nel decreto dignità approvata dall’attuale governo che ne ha solo esteso l’importo, prevedeva un indennizzo automatico in caso di licenziamento illegittimo, parametrato sull’anzianità di servizio. La Consulta, nel testo che argomenta la sua decisione, spiega che questa somma dev’essere invece determinata dal giudice caso per caso, tendendo conto anche di altri parametri  “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti”.

Il meccanismo di quantificazione del risarcimento pari ad un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” spiega ancora la sentenza della Consulta, rende infatti l’indennità “rigida” e “uniforme” per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle badumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato.

Pertanto, il giudice, si legge ancora, “nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (4, ora 6 mensilità dopo il decreto dignità) e mbadimo (24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità, dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio, criterio che ispira il disegno riformatore del 2015, ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.

La disposizione censurata infatti, prosegue la Corte Costituzionale, contrasta anzitutto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse: finisce infatti, conclude la Corte, “col prevedere una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, venendo meno all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, anch’essa imposta dal principio di eguaglianza”.
 

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Mario CalabresiSostieni il giornalismo
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