Libia, Haftar diserta il summit di Palermo e la Turchia va via



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PALERMO – Si è chiuso con la conferenza stampa del premier Giuseppe Conte e dell’inviato dell’Onu Ghbadan Salamè il summit di Palermo sul futuro del processo politico in Libia, organizzato dall’Italia tra numerose defezioni. “In Libia non rivendichiamo nessuna leadership sul piano economico, politico o altro”, ha detto Conte, non abbiamo “secondi fini” e non “crediamo in soluzioni dall’alto. Lavoriamo per la stabilizzazione del Paese e abbiamo reso un servizio anche all’Europa”.

Salamé ha confermato la road map dell’Onu: Palermo è servita per convocare una nuova conferenza in Libia agli inizi del 2019 e poter arrivare a elezioni in primavera.

Ma dietro alla dichiarazioni ufficiali restano le distanze e le rivalità tra tutti gli interlocutori in campo. 

Come previsto il generale libico Khalifa Haftar ha lasciato Palermo in anticipo sulla fine dei lavori, fra l’altro rilasciando un’intervista in cui diceva di non aver partecipato appieno alla conferenza. Un paio d’ore più tardi anche la delegazione turca ha deciso di lasciare in anticipo Palermo. La Turchia ha abbandonato la Conferenza “con profondo disappunto” per non essere stata coinvolta nella riunione informale del mattino con al Serraj e Haftar. 

Il forfait della Turchia. “Non si può pensare di risolvere la crisi in Libia coinvolgendo le persone che l’hanno causata ed escludendo la Turchia”, ha detto il vicepresidente turco, Fuat Oktay, abbandonando i lavori. “Il meeting informale di stamattina è stato presentato come un incontro tra i protagonisti del Mediterraneo: ma questa è un’immagine fuorviante che noi condanniamo. Per questo lasciamo questo incontro profondamente delusi”, aggiunge il vice- presidente di Ankara. “Qualcuno all’ultimo minuto ha abusato dell’ospitalità italiana”, ha aggiunto il braccio destro di Erdogan senza mai nominare il generale Khalifa Haftar. “Sfortunatamente la comunità internazionale non è stata capace di restare unita”.

La verità è che per organizzare almeno un incontro allargato con il generale Haftar (e non soltanto dei bilaterali), la presidenza italiana ha accettato di escludere dalla riunione del mattino Turchia e Qatar, ovvero i due avversari dichiarati del generale. C’erano i capi di governo e di Stato “del Mediterraneo” (il presidente egiziano Sisi, il tunisino Essebsi, il premier russo Medvedev e altri) badieme ad Haftar e al presidente libico Fayez Serraj.

Il saluto di Haftar. Anche Haftar ha recitato fino in fondo la sua parte di invitato riluttante: alle 11,30 è partito da Palermo, lasciando però la sua delegazione a seguire tutti i negoziati ai tavoli economici e della sicurezza, temi che interessano decisamente la sua fazione. Paradossalmente proprio nei corridoi di Villa Igiea il generale ha rilasciato un’intervista dicendo che “non parteciperei alla Conferenza nemmeno se dovesse durare cento anni. La mia presenza è limitata agli incontri con i ministri dell’Europa e poi riparto immediatamente”. Il generale ha confermato che avrebbe incontrato “il primo ministro italiano e gli altri ministri europei”, ma non gli esponenti delle altre delegazioni, con cui “non ho nulla a che fare”. 

“Siamo sempre in stato di guerra e il Paese ha bisogno di controllare le proprie frontiere. Abbiamo frontiere con la Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan ed Egitto e la migrazione illegale viene da tutte le parti” ha aggiunto Haftar ad Al Hadath sottolineando che il fenomeno favorisce l’ingresso di miliziani e terroristi islamici.

Il generale ha detto di essere in guerra, denunciando l’ingresso di terroristi in Libia e chiedendo maggiore collaborazione ai paesi di confine nel controllo dei flussi migratori: “I leader degli Stati a noi vicini devono aiutarci almeno controllando le loro frontiere per non permettere l’immigrazione clandestina che ci crea il problema con le  milizie di  Al-Qaeda, Isis, movimento islamico e integralisti”.

Prima di lasciare Palermo, Haftar ha usato una metafora per spiegare al  presidente del governo di Accordo nazionale, Fayez al Serraj,  che può ancora rimanere al suo posto, che non c’è bisogno di cambiare presidente prima delle prossime elezioni: “Non è utile cambiare il cavallo mentre si attraversa ancora il fiume…”.  Cosa significa? Significa che il generale aspetta di capire come potrà gestire la prossima fase nella vita politica libica, quella che secondo il Piano Onu di Ghbadan Salamè prevede una “Grande Assemblea” in Libia e poi un percorso verso le elezioni politiche, il rinnovo della Costituzione ed eventualmente elezioni presidenziali.

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Mario Calabresi
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