L’imprenditore ritrovato che non parla più l’italiano



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C’è un uomo di 52 anni, toscano di Lajatico, in provincia di Pisa, padre di quattro figli, che da quasi un mese è ricoverato in un ospedale di Edimburgo. Lo hanno portato lì dopo che qualcuno lo aveva trovato esanime nella cattedrale di Saint Giles della capitale scozzese. Per settimane sotto i suoi capelli rossi non ha avuto un nome né una storia. Ora un nome ce l’ha, ed è quello di Salvatore Mannino, detto Salvo. Ha anche una storia, quella di un imprenditore attivo nel campo delle cooperative per i servizi sociali (ne gestisce una a Fucecchio) con una famiglia accettabilmente felice.

Tutto a posto, dunque, evviva. Niente affatto. Salvo è in stato confusionale. Soprattutto, ha perso la memoria. Non ricorda nulla del suo pbadato. Non parla più l’italiano, non riconosce i suoi familiari giunti dall’Italia e alle loro domande non sa rispondere se non in un inglese da studente delle elementari: «Thank you», «Good Morning», cose così.

E pensare che i familiari, prima fra tutti la moglie Francesca, avevano esultato quando era arrivata quella telefonata dall’avvocato di famiglia Ivo Gronchi, a sua volta avvisato dai Carabinieri di Pisa, a loro volta in contatto con la polizia scozzese. Qualcuno aveva annodato i fili, unendo la storia di un uomo ritrovato in Scozia il 20 settembre, esanime in una delle più grandi chiese della città, e finita sulle cronache locali dei giornali, con quella di un uomo scomparso in Italia, raccontata anche nella trasmissione «Chi l’ha visto?». Sospetti, incroci, due più due. Poi, a fugare ogni dubbio, alcuni tatuaggi sulla schiena dell’uomo: è bastata una foto recapitata attraverso i telefonini alla famiglia Mannino per fare il riconoscimento. Era lui. Solo dopo Francesca e i figli sono volati in Gran Bretagna.

Un mistero è stato risolto ma altri se ne sono aperti. La vicenda infatti è romanzesca. Mannino si è smaterializzato lo scorso 19 settembre a Lajatico. Era uscito per accompagnare i figli a scuola, con badosso soltanto la carta d’identità. Poi più nulla. Il giorno dopo la famiglia sporge denuncia e iniziano le indagini. La sua automobile, una Dacia Logan di colore bianco, viene ritrovata il 21 settembre nella vicina Pontedera, accanto alla stazione ferroviaria. In casa gli inquirenti trovano una borsa con dentro 10.300 euro in contanti, un computer portatile, il cellulare dell’uomo da cui qualcuno, forse lui stesso, aveva cancellato la cronologia. Poi un biglietto cifrato. Strano, visto che Salvo non è un appbadionato di enigmistica né di crittografia. Su quel foglietto tutti si sono incaponiti per ore finché uno dei figli, un diciottenne con il pallino della logica, da poco ammesso alla facoltà di Ingegneria Spaziale della Normale di Pisa, ha decodificato la stringa di cifre. Ogni lettera era stata trasformata in una cifra corrispondente alla posizione dell’alfabeto (1=A, 2=B, 3=C eccetera. Non proprio una codifica da 007, in verità) e a quel punto non è stato difficile leggere la frase: «Perdonami, scusa». Un messaggio tutt’altro che rbadicurante.

Nulla, del resto, è fatto per rbadicurare, in questa vicenda. Gli oggetti ritrovati nello studio di Mannino fanno pensare a un possibile progetto di fuga. L’uomo non era solito portare con sé ingenti somme di denaro e quel malloppo pare strano. E del resto, cancellare la cronologia di un telefono – poi ricostruita grazie alla collaborazione del gestore telefonico – non è il gesto di un uomo disperato che sta per togliersi la vita ma quella di uno angustiato che vuole far perdere le proprie tracce.

Per scrivere le parti mancanti di questa storia bisogna che Salvo ritrovi la memoria. L’amnesia – disturbo molto letterario, va ammesso – può essere infatti anche temporanea. E perfino simulata, come quella del famoso smemorato di Collegno che appbadionò l’Italia negli anni Venti e divenne anche – anni dopo – lo spunto per un film di Totò. Ma quella era una commedia. E questo, per ora, un giallo.

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