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L’ennesima giornata in altalena dello spread provoca questa volta la reazione degli istituti di credito, costantemente sotto pressione a causa dei titoli di Stato che portano in pancia. La chiusura di giornata del differenziale è stata meno drammatica di quanto si potesse immaginare in alcuni momenti della seduta, con un finale poco sotto quota 315 nel quale il rendimento del decennale italiano si è attestato al 3,58%. Ma nelle fasi più concitate, quando a pesare erano ancora più i contenuti della lettera recapitata a Roma da Pierre Moscovici (che definisce «senza precedenti» le deviazioni prospettate in manovra) che non i toni concilianti del commissario europeo, il gap tra Btp e Bund è arrivato a toccare vette che non si esploravano dal 2013, a 340 punti base.
«L’ulteriore crescita dello spread peggiora le prospettive degli equilibri dei conti pubblici e complica le attività produttive tutte e gli investimenti delle famiglie e delle imprese», ammoniva in quelle ore il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, avvertendo che di fronte a una dinamica di questo tipo «non si può rimanere indifferenti» e auspicando «un più costruttivo confronto fra autorità italiane ed europee». A intervenire nel grande discorso sulla manovra è poi la banca centrale. «L’efficacia delle politiche di bilancio nel sostenere l’economia dipenderà anche dal mantenimento della fiducia dei risparmiatori e degli investitori nei confronti del percorso di risanamento delle finanze pubbliche», scrive la Banca d’Italia nella nuova edizione del suo Bollettino economico, dopo aver segnalato che l’effettiva intensità dello stimolo all’economia che la manovra potrà determinare «dipenderà dal disegno, dalla tempistica e dalle modalità di attuazione delle misure».
Parole che mantengono a loro volta acceso il campanello d’allarme, dal momento che un altro documento diffuso oggi da Palazzo Koch, la ’Bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’esterò, indica come gli investitori stranieri abbiano venduto ad agosto titoli di portafoglio italiani per 17,8 miliardi di euro, di cui 17,4 miliardi di euro di titoli pubblici. Quanto la situazione sia delicata, non manca infine di farlo notare Fitch, che in una nota anticipa come un eventuale downgrade del giudizio sull’Italia (il cui outlook è già stato portato in agosto a «negativo») potrebbe costare un taglio del rating anche a diversi istituti di credito. Il comunicato cita in particolare Banca Nazionale del Lavoro, Credito Emiliano, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Unicredit e Unipol Banca, i cui outlook hanno seguito quello italiano. Ma allarga anche il campo, ricordando che «altri rating di banche italiane potrebbero trovarsi sotto pressione se le condizioni di rifinanziamento divenissero più difficili o la qualità degli badet si indebolisse in modo significativo».
D’altra parte, ricorda in conclusione l’agenzia, le esposizioni dirette degli istituti di credito sul debito pubblico italiano fanno sì che spread più ampi portino a una erosione del capitale. E molte banche nazionali «detengono ingenti quantità di debito sovrano italiano rispetto alla loro capitalizzazione».
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