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I colpevoli della morte del giornalista Jamal Khashoggi sono solo gli agenti dell’intelligence che lo hanno incontrato a Istanbul, e perciò vanno puniti con la pena capitale. A un mese e mezzo dall’uccisione del reporter dissidente nel consolato saudita di Istanbul, la procura generale di Riad annuncia le prime conclusioni della sua inchiesta con l’incriminazione di 11 sospetti su 21 indagati in stato di fermo: la pena di morte viene chiesta per 5 di loro, tra cui il capo del team degli 007 – non identificato pubblicamente – che avrebbe ordinato l’omicidio. Punizioni esemplari contro gli esecutori materiali che servono però a confermare la tesi di un’operazione condotta all’insaputa della Corona: il principe ereditario Mohammed bin Salman, detto Mbs, ribadiscono i magistrati e il governo sauditi, è «badolutamente» estraneo alla vicenda.
L’ufficiale più alto in grado a essere coinvolto è Ahmed al Asiri, l’ex numero 2 dei servizi segreti e fedelissimo di Mbs. Resta indagato e sottoposto a divieto di espatrio anche Saud al-Qahtani, lo stratega della comunicazione sui social network dell’erede al trono, incluso oggi anche nella lista dei 17 alti funzionari di Riad colpiti dalle sanzioni Usa per «il ripugnante omicidio». Entrambi già allontanati dalla Corona, sono accusati di aver preso parte ai preparativi condotti tre giorni prima dell’operazione, il cui scopo iniziale sarebbe stato di riportare in patria il reporter. Ma non avrebbero ordinato loro l’uccisione. «A volte le persone agiscono al di là della loro autorità», ha commentato il ministro degli Esteri del Regno, Adel al-Jubeir, definendo l’uccisione del giornalista «un crimine e un grave errore»: «Respingiamo la politicizzazione del caso e le interferenze nella politica interna dell’Arabia Saudita».
Le parole del procuratore generale Saud al-Mojab, che il mese scorso si era recato a Istanbul per approfondire le indagini, tracciano l’ennesima contraddizione nelle versioni saudite, negando ora la premeditazione del delitto. Khashoggi sarebbe stato ucciso con un’iniezione letale di droga dopo le sue presunte resistenze al tentativo degli agenti di riportarlo in patria. Il corpo è stato quindi smembrato, portato fuori dal consolato e consegnato a un agente turco, di cui Riad avrebbe diramato ad Ankara «un ritratto segnaletico» per identificarlo e arrestarlo. Su che fine abbiano fatto poi i resti, neppure una parola. Alla Turchia, i magistrati chiedono anche la trasmissione di «prove e ogni registrazione audio». Ma per il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, la ricostruzione è «insoddisfacente».
Sottolinea Cavusoglu: «Dicono che queste persone hanno commesso l’omicidio dopo che Khashoggi ha resistito ai loro tentativi di riportarlo nel loro Paese. Ma smembrare un corpo non è qualcosa che può essere fatto senza preparazione». Il governo di Recep Tayyip Erdogan ha invocato un’indagine internazionale, dopo aver rivendicato a lungo l’esclusività della competenza sul caso: una virata per prendere d’anticipo il Regno e mantenere il fiato sul collo del principe.
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