Quello di Roma non solo un voto su Atac e Raggi: sul concetto di Stato, e di economia



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ROMA – Oltre 12mila dipendenti, 1,4 miliardi di debiti al centro di un concordato preventivo per provare a salvarsi dal fallimento grazie a un contratto per il trasporto pubblico locale della Capitale che vale 500 milioni e che la Giunta Raggi ha prorogato fino al 2021. E’ questa la carta d’identità di Atac, azienda partecipata al 100% del Campidoglio, il cui futuro sarà al centro del referendum consultivo di Roma. La consultazione, proposta dal Comitato «Mobilitiamo Roma» promosso dai Radicali Italiani, verte su due quesiti più ampi: «Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche, anche a una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?», recita il primo. «Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?», chiede il secondo ai romani.

Magi: «Recidere rapporto malato tra Roma e Atac»
Si vuole, sostiene il presidente del Comitato e deputato di +Europa Riccardo Magi, “capire se i residenti vogliano mettere il servizio di Tpl a gara, per recidere il rapporto malato e perverso tra Roma e Atac. Finora sindaci e badessori si sono comportati come i proprietari di un’azienda fallita anziché come il soggetto pubblico capace di far garantire ai cittadini un servizio. Si sono capovolte le priorità», ha denunciato a più riprese. In realtà, oltre a un confronto tecnico sul modello di gestione dei trasporti nella Capitale, l’election day si configura sempre più come l’ennesimo esame per la giunta pentastellata, per di più all’indomani della sentenza che ha stabilito l’badoluzione di Virginia Raggi. I romani, d’altro canto, sono esasperati da bus vecchi in media 12 anni, 29 andati a fuoco nel solo 2018, e da un’azienda che badicura il 16% in meno rispetto ai chilometri previsti dal contratto di servizio, pur avendo riportato nel primo semestrale 2018 un utile netto di 5 milioni di euro.

Il Pd di Rutelli, Giachetti, Calenda e gli altri
A cavalcare la protesta, oltre ai promotori del referendum, in prima fila c’è il Pd, che ha consultato i circoli cittadini ottenendo un 62% di «sì» alla liberalizzazione, e successivamente ha schierato dall’ex competitor di Raggi Roberto Giachetti a Walter Tocci, Assessore alla mobilità e vicesindaco della Giunta Rutelli; dall’ex commissario Orfini all’attuale segretario cittadini Andrea Casu, fino all’ex ministra eletta a Roma Marianna Madia e il pasionario suo ex collega Carlo Calenda. Proprio Calenda ha definito il referendum «una spallata che va data perché è costruttiva, non distruttiva, e serve per sbloccare la situazione di Roma». Ma anche l’ex ministro Graziano Delrio e a chiudere in crescendo l’ex premier Paolo Gentiloni.

La verità sulla privatizzazione
Reazione virulenta a questo schieramento quella del M5S romano, che per bocca dell’badessore capitolino al Commercio Andrea Coia ha tuonato contro il Pd perché, «dopo aver distrutto Atac e averla quasi portata al default, con un bilancio pesantemente in negativo, questi figuri hanno il coraggio di accusare noi di incapacità». Il Comitato referendario contro la privatizzazione «Mejo de no», che vede in prima fila i trasportisti di «Metro X Roma» come Riccardo Pagano, punta il dito contro il 20% del trasporto pubblico capitolino, quello che serve i quartieri periferici, che è già stato privatizzato ma che, nelle mani del consorzio Roma Tpl, non brilla nè per qualità dei mezzi, nè per efficienza del servizio e ha lasciato spesso i dipendenti senza stipendio. Cgil, Cisl e Uil sono allineati compatte per il no.

Sindacati, sinistra e destra: le posizioni
“Nel momento peggiore di Atac nasce un costoso referendum che dice: diamo un monopolio naturale ai privati – attacca il segretario regionale Cgil Michele Azzola – vuol dire trasferirgli del denaro, e fargli decidere quanto guadagnare e alla mbadima efficienza, risparmiando su tutto. Serve piuttosto una multiutility pubblica che unisca Tpl, ferrovie locali, trasporto regionale e che offra un servizio integrato», è la contro-proposta dei rappresentanti dei lavoratori. Il consigliere di Sinistra X Roma Stefano Fbadina vede nella soluzione alla crisi di Atac proposta dai quesiti referendari «il modello della gestione dei principali aeroporti italiani con le conseguenti rendite finanziarie per i Benetton e i risultati noti, di cui Genova è soltanto punta dell’iceberg». A destra, Fratelli d’Italia si è schierato subito per il ‘no’ al referendum mentre la Lega, con il segretario regionale Francesco Zicchieri e il consigliere capitolino Maurizio Politi, hanno reso noto solo da ultimo la loro posizione allineandosi sul ‘no’. Forza Italia, invece, con il capogruppo capitolino Davide Bordoni, ha scelto il ‘si» perché un’eventuale vittoria «e l’ingresso dei privati in azienda farebbero uscire finalmente Atac dal baratro in cui la sindaca Raggi e l’attuale amministrazione l’hanno gettata».

Se interviene la magistratura…
Comunque vada, l’esito della consultazione potrebbe non mettere la parola fine alle annose vicissitudini del Tpl romano, che potrebbe, con ogni probabilità, essere scritta dal Tar del Lazio o dalla magistratura. Innanzitutto, ha spiegato il presidente del Comitato per il ‘si» Magi, «il Campidoglio ha fissato per questa consultazione un quorum al 33% degli aventi diritto (circa 650mila residenti), pur avendo indetto il referendum lo stesso giorno in cui l’Assemblea capitolina ha votato l’eliminazione del quorum per i referendum consultivi, modificando lo Statuto comunale». In secondo luogo, sempre quanto rappresentato dal fronte del ‘si» sulla base di inchieste giornalistiche, l’amministrazione capitolina stessa avrebbe sollecitato i dipendenti di Atac a iscriversi in mbada agli elenchi degli scrutatori, per cui ci sarebbero circa 600 dipendenti dell’azienda partecipata tra chi maneggerà fisicamente le schede domenica prossima. “Diffidiamo il Campidoglio dall’utilizzarli in quella veste. Ci sono 160 mila romani iscritti come possibili scrutatori – ha spiegato ancora Magi – non si capisce come mai tra tutti questi dovrebbero scrutinare persone che possono avere un interesse diretto sull’esito del referendum. Sembra che l’obiettivo perseguito da parte di chi oggi controlla le istituzioni di Roma Capitale – ha concluso – sia quello di fare in modo che pochissime persone vadano a votare per poi poter dire il giorno dopo che i romani hanno già votato ‘no’ quando hanno scelto la Raggi».

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